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CASCHI BIANCHI: da Bologna a Dakar, anche questo è Servizio Civile. 6


Siamo grati alla nostra amica Francesca, in Servizio Civile in Senegal, che fedelmente condivide con noi aspetti della sua esperienza e e delle sue riflessioni su quanto vive!

Tra Ubuntu e Teranga

Dakar, Agosto 2019

L’esperienza del Servizio Civile all’estero ha la caratteristica di coinvolgere il volontario nella completezza della sua persona e sotto tutti i punti di vista. Essendo all’estero, appunto, non esiste una vera zona comfort in cui ripararsi quando si vivono esperienze che scuotono particolarmente la nostra coscienza o che mettono in discussione i nostri concetti di “giusto” e “sbagliato”.

Lo sportello in cui opero si chiama P.A.R.I., acronimo di Punto di Accoglienza per Rifugiati e Immigrati. Il P.A.R.I. non è un centro di accoglienza come lo possiamo immaginare in Italia, è più uno sportello, un centro di ascolto gestito da Caritas Dakar per soli immigrati presenti in città.

Le persone che operano allo sportello in maniera stabile sono ragazzi e ragazze senegalesi, ma l’équipe accoglie continuamente volontari provenienti da tutti i Paesi e che apportano il loro contributo, mettendo a disposizione le diverse conoscenze, competenze e punti di vista.

Quello che si cerca di fare ogni giorno al P.A.R.I. è di dare ascolto a tutti gli immigrati che si rivolgono allo sportello in cerca di un sostegno e di un aiuto: il genere di assistenza che viene richiesta può essere finalizzata alla soddisfazione di bisogni primari, come il nutrimento e la salute, ma può essere anche un sostegno all’avvio di piccole attività generatrici di reddito o alla frequenza di percorsi di formazione. In questo ambiente misto e variegato si ascoltano storie altrettanto variegate, che però hanno un denominatore comune: il sostanziale bisogno di aiuto. Ciò che spesso porta il volontario a riflettere e a mettere in discussione le modalità di intervento da lui sempre messe in atto è che questo bisogno di aiuto viene domandato in un contesto in cui le soluzioni sono più difficili del solito da trovare. Nonostante a Dakar si trovino le sedi di quasi tutte le ONG, nonostante sia una città assolutamente ricca di imprese e aziende che vi operano, nonostante tutto, i servizi dedicati alle persone in difficoltà non sono tanti. Ciò che a me, ingenuamente, colpì all’inizio del mio Servizio fu l’apprendere che non esistono dormitori o servizi simili: si dorme per strada, senza tanti melodrammi. Non si hanno i soldi per mangiare? Non si mangia, anche in questo caso senza tanti melodrammi. Ciò che osservo e che è tanto diverso da ciò a cui ero abituata è qui non sembra concesso disperarsi. Non puoi farlo, è come se perdessi un po’ di dignità...che in tanti casi è l’unica cosa rimasta alla persona.

Non c’è giudizio in quanto scrivo, non so ancora quale approccio sia più giusto ma penso che non sia ancora tempo di avere una risposta. Forse probabilmente dobbiamo abituarci all’idea che non esiste un approccio di intervento universalmente corretto, in alcuni contesti funziona bene in un modo, in altri in un altro. Io ho iniziato Servizio Civile con alle spalle quattro anni di esperienza nell’accoglienza di richiedenti asilo, ho fatto formazioni su formazioni: tutto ciò che sapevo essere giusto nel contesto in cui operavo, qui è stato messo in discussione.

L’uscire dal proprio nido di certezze crea una forte destabilizzazione, ma ti da la conferma che ogni situazione, anche la più banale, dietro di sé nasconde una complessità molto vasta di elementi che bisogna impegnarsi a ricercare e a tenere in considerazione. Questo è quello che sto imparando giorno dopo giorno sempre di più: a non dare nulla per scontato, a considerare tutto. La lezione più grande però, è il lasciarsi cambiare dagli eventi, dalle storie..osservare la nuova forma che prende la mia persona, consapevole che siamo in continua evoluzione.

Francesca

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